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QUERELLE DE BREST
(QUERELLE)
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  Stampa questa scheda Data della recensione: 17 febbraio 1983
 
di Rainer Werner Fassbinder, con Brad Davis, Franco Nero, Jeanne Moreau, Laurent Malet (Germania Occidentale, 1982)
 

"Quando un regista muore si usa dire che la sua ultima opera è un film-somma, un film testamento. In questo senso, se noi pensiamo al cinema di Fassbinder, al suo modo di parlare del mondo di oggi, della società, del profitto, della politica, di come l'amore, arma suprema di chi detiene il potere, tenda a costituire un mezzo ulteriore per possedere l'individuo, in questo senso QUERELLE non è certamente il film-somma di Fassbinder. Anzi, rispetto al precedente, e splendido, SEHNSUCHT DER VERONIKA VOSS rappresenta un deludente passo a ritroso.

Ma forse se noi pensiamo all'uomo Fassbinder (e qui meglio del critico potrebbe parlare l'amico) piuttosto che al suo cinema, allora QUERELLE rappresenta quella confessione, quel momento magico e sublime al tempo stesso, nel quale l'uomo e l'artista tirano le somme. Ma ancora: tutto ciò non è forse che pura accademia, nei confronti di un film difficile, col quale è quasi impossibile evitare un rapporto che non sia di amore-odio, col quale orci si sente coinvolti o si assiste con indifferenza e noia. Accademia, perché a ben osservare la breve ma spaventosamente intensa e prolifica attività del più grande regista tedesco del dopoguerra, ci si accorge di quanto discontinua (e per forza, considerati i ritmi) essa sia stata. E di come spesso Fassbinder si sia concesso delle evasioni dal proprio universo poetico, per affondare nella letteratura alla ricerca di un super-io, che gli permettesse di trovare soluzioni, o addirittura una solidarietà, che non riusciva a trovare in se stesso. Così successe con EFFI BRIEST (1974) che attingeva all'ottocento tedesco di Theodor Fontane, con DESPAIR (1977) che era tratto da Nabokov o dal recente BERLINER ALEXANDERPLATZ di Doblin.

Con QUERELLE Fassbinder sceglie l'opera più "scandalosa" di Jean Genet. Ma forse lo scandalo non è tanto nel suo aspetto più ovvio, chiacchierato, di descrizione priva di reticenza di un mondo governato dal rapporto omosessuale, quanto nell'aneddoto puro e semplice. Di questo Querelle, marinaio d'irresistibili fattezze, che sbarca a Brest in cerca della propria identità. Un'identità indefinita. ed egli, nel suo travaglio per raggiungere questa identità, finisce col rinunciare al Bene. Per definirsi nel Male, nel delitto. Querelle prima vende la droga poi, noncurante, uccide. Con un padrone d'osteria ha un rapporto omosessuale passivo ("ti porgo soltanto il mio didietro, non la mia bocca", gli dice, o qualcosa di simile), ma con Gil, il sosia (o piuttosto il doppio, la proiezione) del proprio fratello, si tratterà di vero e proprio amore. Ed è proprio Gil che il protagonista sceglie di tradire: l'amore (e qui ritroviamo uno dei tipici temi fassbinderiani) è la prima cosa dalla quale dobbiamo diffidare. Come dice Querelle medesimo: "Ho sacrificato il mio amore per la vittima, ho sottoscritto il mio patto col diavolo. Non gli ho venduto né la mia anima né il mio corpo; gli ho venduto l'amico. E la morte di questo amico mi santificherà". Questo mondo di fantasmi non era facile da rappresentarsi, e non solo perché si tratta di fantasmi omosessuali; con quanto di ancora tabù questo possa rappresentare alle platee cinematografiche del 1982. Ma perché, soprattutto, di fantasmi letterari si trattava. Che Genet ha sfumato nei confini indefiniti che soltanto la parola scritta possiede. E che, al contrario, l'evidenza dell'immagine costringe ad un realismo opprimente.

Nei confronti di una situazione del genere Fassbinder è ricorso a due movimenti soltanto in apparenza contraddittori: una fuga in avanti rispetto ai propri fantasmi, sfociando in un delirio erotico, fatto di erezioni ben esplicite, che si vuole incondizionatamente realistico. E una fuga all'indietro, lontano dalla realtà, verso una trascrizione teatrale: quattro fondali di cartapesta, lo scorcio di una nave, le luci di un bordello, quattro graffiti osceni dipinti sui muri di un paio di vicoli che si dipartono in quel porto dell'ultima spiaggia. Una scenografia, quindi, quasi surrealista, una luce arancione da fondale di cabaret, una sceneggiatura contorta, dove le vicende e i personaggi vengono costantemente abbandonati e ripresi, dei movimenti di camera continui, asfissianti, claustrofobici. Tutto questo per parlarci di Querelle, "figura mistica" come diceva il regista stesso, "angelo che può mutarsi in demonio, portatore del bene e del male al tempo stesso. E quale di questi due estremi venga risvegliato in lui, dipende esclusivamente dal suo interlocutore".

È facile vedere, nella trasparenza quasi impudica del discorso a quali fantasmi, a quali frustrazioni e esaltazioni rispondesse l'esigenza di un film come Querelle per il regista tedesco. In questo senso mi sembra che il film appartenga soprattutto al privato del suo autore: e le reazioni contraddittorie che il film ha sollevato si spiegano appunto con la diversa possibilità di partecipazione dello spettatore a questo privato."


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